Il ragù alla genovese.
Il ragù alla genovese è un piatto particolarissimo e squisito, praticamente sconosciuto al di fuori della Campania. Ma che vale la pena, almeno una volta, di provare a fare. Del resto, non è difficile.
Prima di tutto, il soffritto. Io amo farlo separato: carne da una parte, cipolla dall’altra. Facendo soffriggere insieme, infatti, c’e’ troppa differenza di temperatura. La cipolla tende a bruciarsi e la carne non si dora mai perfettamente. Allora, parto con la carne: metto in un tegame la quantità di grasso che mi serve, in questo caso olio e il cucchiaio o ddi strutto,e faccio andare a fuoco forte.
Una volta che la carne è ben rosolata, vado con il vino: lo verso sulla carne e faccio evaporare, mescolando e raschiando il fondo con un cucchiaio di legno di quelli schiacciati, a paletta, ottimi appunto per deglassare i fondi di cottura. Intanto, in un tegame largo, sistemo le verdure tagliate a velo e l’olio e spolvero di sale grosso. Accendo e soffriggo, mescolando spesso. Non appena le cipolle sono dorate le metto insieme alla carne (in un tegame possibilmente di coccio), aggiungo il concentrato e l’alloro (se decido di usarli) e inizio la cottura. A fuoco leggero, il più leggero possibile: più passa sarà la temperatura, più lunga sarà la cottura, più buona sarà la genovese.
Se il fuoco è abbastanza basso e le cipolle di buona qualità, non ci sarà bisogno di aggiungere alcun liquido di cottura. Altrimenti, ma se è proprio necessario, aggiungete acqua. O brodo, o vino. Quello che avete o che preferite, purché caldo, e continuate a cuocere. E, soprattutto, portate pazienza: che una buona genovese richiede almeno 3-4 ore di cottura. Altrimenti, non è genovese ma solo, parafrasando Eduardo, “carne ca’cipolla”.
In ultimo, la pasta. Buona, che il ragù alla genovese non merita paste mediocri. Possibilmente ziti, possibilmente spezzati a mano (io non li avevo ed ho dovuto accontentarmi di quello che passava il convento): perchè la genovese, finita la pasta, riserva una sorpresa: i piccoli pezzettini di pasta che si formano quando spezzate gli ziti con le dita: che in fondo al piatto, formano un intingolo perfetto. Cui, per quanto poco elegante possa sembrare, non riuscirete a rinunciare. E scolatela bene: che la genovese, come ogni rrau’ che si rispetti non deve mostrare tracce di acquetta sul fondo del piatto. Diluirebbe il sapore, e rovinerebbe la cremosità.
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