Gli ingredienti che girano nelle ricette tradizionali di queste parti sono sempre gli stessi, che siano zuccherini, brigidini, schiacciate di Pasqua, topini, cantucci all’anice e via dicendo…. Uova, farina, zucchero e semi di anice… talvolta è presente il burro a sostituire l’olio o lo strutto. Per mia sfortuna non stravedo per l’anice (dovevo nascere altrove temo) né per le cose troppo dolci
Gli zuccherini, che per nome, forma e ingredienti si ricollegano senza dubbio ad altre ricette di zuccherini legate alla tradizione appenninica e montanara, in questa forma, grande e senza glassatura, prendono il nome di Zuccherini di Fucecchio. Questo almeno da quando i fucecchiesi, guardandosi intorno e non trovandone altri uguali, se ne sono appropriati, ma non è ben chiaro quale sia il periodo esatto in cui hanno fatto la loro comparsa. Di sicuro c’è che a partire dalla metà dell'800 si è diffusa l'usanza di associarli al Carnevale, questo infatti il periodo in cui vengono tradizionalmente preparati, anche se grazie alla loro lunga conservabilità il loro consumo si protrae fino alla Quaresima. Un tempo nelle famiglie si preparava una discreta quantità di questi zuccherini che venivano infilati su dei bastoni e conservati in dispensa (si diceva che fossero fatti apposta per durare quanto il Carnevale).
La ricetta è probabilmente cambiata col tempo, così, pur mantenendo la sua semplicità, nel corso degli anni si è arricchita di burro e aromi, anche se ogni panettiere segue la sua ricetta più o meno fedele a quella originale (che ufficialmente non esiste, lo dico subito).
Metto la ricetta di casa, riferita ad un uovo per comodità.
Per due zuccherini:
130 g di farina
90 g di zucchero
1 uovo
15 g circa di olio o burro
5 g di semi di anice
1 cucchiaio di liquore all’anice
scorza di limone e di arancia
1 cucchiaino da caffè di lievito in polvere (facoltativo)
Fare una fontana con la farina e lo zucchero, aggiungere il resto degli ingredienti, lavorare velocemente l’impasto e formare una palla, aggiungendo un pochina di farina in più se l’impasto dovesse appiccicare troppo. Formare due ciambelle del diametro di circa 16-18cm e appiattirle leggermente facendo una lieve pressione con le mani. Infornare a 160-170° per circa 15-20 minuti. Non devono prendere troppo colore, solo dorare e asciugarsi un po’, raffreddandosi induriscono ulteriormente.
C’è chi scalda i semi di anice in un pentolino con il burro/olio e fa andare a fuoco basso per un paio di minuti, poi fa raffreddare prima di aggiungerli all’impasto, e chi fa la fontana di sola farina a cui aggiunge uova e zucchero precedentemente sbattuti con una frusta a parte. Io non faccio nessuna delle due cose perché mi piacciono di più così, e si fa anche prima, ma lo cito per completezza.
Sono dei biscottoni molto semplici, dolci e croccanti, che si spezzano in tavola, con le mani, al momento del consumo.
Con la stessa ricetta o con una variante molto simile (che prevedeva solo l’aggiunta di latte) mia nonna faceva i cantucci all’anice, senza costrizioni circa il periodo dell'anno più consono alla loro preparazione.
Dei topini invece a Fucecchio non ho trovato traccia certa, è una ricetta di famiglia, diffusa nelle campagne fra San Miniato e Montatone di sicuro, ma non so se esista una… canonizzazione.
Col termine “topini” di solito si intendono genericamente dei pezzi di pasta fritta, non necessariamente dolce, delle dimensioni di un dito all’incirca, che in cottura si gonfiano e diventano tozzi, richiamando con un po’ di fantasia la forma di un topino appunto.
L’impasto usato per i topini è simile a quello usato per le schiacciate di Pasqua, ma prevedeva una lavorazione un po’ meno laboriosa, con meno impasti e lievitazioni successive. Si preparavano a partire dalla pasta madre usata per fare il pane, che veniva impastata con uova, farina, zucchero, scorza di arancia e limone e semi di anice precedentemente soffritti in padella con olio o burro a fuoco dolce. L’impasto veniva lasciato a lievitare, una volta pronto lo si capovolgeva con delicatezza, perché non sgonfiasse, su un tagliere di legno, lo si tagliava a pezzettini della forma di un dito che si immergevano man mano in olio caldo. Per i topini all’anice non si usavano mai altri grassi per friggere, né strutto né tantomeno olio di semi, solo ed esclusivamente olio di oliva (che da, anche come sapore in questo caso, il risultato migliore). Una volta cotti e scolati venivano rotolati nello zucchero semolato.
Io non uso il lievito madre, ma mi trovo bene facendo un poolish aromatizzato la sera prima. Il risultato è ottimo, la pasta è sofficissima. Nonostante il mio tiepido apprezzamento per l’anice questi topini mi piacciono parecchio e li preferisco di gran lunga ai frati o ai bomboloni.