Piazza delle Cinque Scole, 30 - Roma
Per gustare un carciofo alla giudia, a Roma, bisogna andare al Ghetto, in quello che è rimasto di un quartiere avvolto tra antichità, vecchie sofferenze e negozietti di stoffe, dolci tipici ebraici e cucina kosher.
Per questa incursione culinaria pensavo di andare dal più rinomato “Giggetto” o alla “Vecchia Roma”, ma sofisticati palati, frequentatori della zona, mi hanno sconsigliato i nomi altisonanti da guide rosse, a vantaggio di un locale pressoché anonimo, ma conosciuto ai più.
Il Ristorante si presenta così, nascosto da una semplice tendina a strisce rosse, come quelle di una volta, scoraggiante e anacronistica, ma scrigno segreto di vera cucina romanesca.

Dentro, il locale si presenta familiare, accogliente, stretto quel tanto per darti l’impressione di appartenere ad un elite sofisticata di buongustai alla ricerca delle tradizioni senza orpelli fatti di tovaglie ricamate e forchette d’argento.

Il menù ogni giorno viene riscritto a mano e poi puntualmente aggiornato con cancellazioni a seconda dei vari consumi; fa quasi sorridere, e ti fa pensare a quanta volontà ci sia ancora nell’era dell’alta tecnologia, sinonimo, forse, di creatività nascoste?

Per antipasto non ci sono dubbi: è Lui, il Principe dei Piatti, inserito in una disordinata lista di poche ma genuine prelibatezze, condita dalle macchie che precedenti avventori hanno inesorabilmente prodotto.
Eccolo, il Carciofo: servito nel suo splendore, anche se la stagione inoltrata lo ha reso meno spettacolare dei suoi recenti predecessori.


Una rosa aperta, i cui petali croccanti saranno gustati singolarmente, aspettando di decretarne la profetica rivelazione....m’ama – non m’ama; m’ama – non m’ama – m’ama!
...e non finisce qui.
Il piatto che segue è un altro classico che non poteva mancare:
Tagliatelle fatte in casa, cacio-pepe-ricotta....

E qui l’estetica e la presentazione del piatto non fanno parte del cliché, perché decisamenti surclassati dagli odori che ti salgono su fin quasi ad aggredirti le narici...e poi dai sapori che ti rimangono dentro, permanenti, decisi.
Infine, ultima nota di colore, il fatidico conto....anche questo anonimo... dove, a scanso di equivoci, un cerchietto ti ricorda il dovuto.

Come promesso, ho fatto un incursione in cuina e ho chieso la ricetta, generosamente elargita dalla Sora Margherita in persona, una piccola signora che attraverso i suoi spessi occhiali manifestava tanto orgoglio quanto sincero scetticismo...”Aho, tanto nu li fai sti carciofi...ce vole troppo tempo e nun te conviene” , ma che alla fine, dopo qualche confronto dialettico sulla materia, non ha potuto fare a meno di manifestare tutto il suo stupore...”Anvedi questo, ‘n’omo che cucina! E da ‘n do’ sei scito? Ni ‘i fanno più!” (Traduco per i non romani.... “Ma guarda un po’ questo gentil signore che si diletta nella nobile arte culinaria! Chissà da quale parte del mondo proviene? Uomini siffatti è sempre più raro incontrarli!”)
I Carciofi alla Giudia di Sora Margherita
Pulire i carciofoi, lasciando poco gambo.
Metterli sul fuoco in un pentolino con acqua fredda, sale, olio e aceto. Portare a ebollizione e un poco più; scolarli, strizzandoli materialmente con le mani prendendoli dal gambo.
Quindi friggerli in abbondante olio di semi di girasole ben caldo.
Quando sono ben dorati, toglieri e metterli a scolare in uno scolapsta.
A questo punto possono restare così anche un giorno.
Prima di servirli dare loro la seconda frittura, per poco tempo, sempre in olio di semi di girasoli molto caldo.
....
La serata si è conclusa con una passeggiata serale, tra i storici vicoli lastricati di sampietrini, impietosamente invasi dalle macchine posteggiate.
Vi lascio un altro ricordo, che i più grandicelli sicuramente ricordano come emblema delle 5.000 lire:
La Fontana delle Tartarughe, a Piazza Mattei, ritornata al suo antico splendore grazie ad un recente restauro:

Salù
P.