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Una Storia al contrario: La Madia, Licata (AG)

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Una Storia al contrario: La Madia, Licata (AG)

Messaggioda Gic » 31/12/2006, 1:33

Non è facile, credetemi, parlare di questo Ristorante senza cadere in un vortice di apprezzamenti che, però, impedirebbero di comprendere la sostanza che c’è dentro. Voglio perciò cominciare con una nota che, forse, con la cucina c’entra poco ma che, secondo me, è la chiave di volta della sua riuscita presenza nel panorama gastronomico italiano. La nostra terra, la Sicilia, è stata sempre falcidiata dall’emigrazione; i migliori, non c’è alcun dubbio, una volta se ne andavano. Epperò, adesso, la Storia gira al contrario: si è ricominciato a venire in Sicilia. Quando poi, a venire in Sicilia – in questo caso tornare – è uno che qui ci è nato è un evento che va sottolineato. Implica, credetemi, uno sconfinato amore, una irragionevolezza che trasmigra nell’incoscienza, una capacità di credere in se stessi che non è nell’animo profondo del siciliano. Questo, Pino Cuttaia l’ha fatto. E l’averlo fatto in provincia ha un senso di futuro che ancora, dalle nostre parti, manca.

Ci siamo andati giovedì 28 dicembre, da Cuttaia. Di quelli che voi conoscete perché scrivono su questo Forum, oltre a me, c’erano Teresa, Carlo (aka sica) e Lionello (aka Albenghi). Ognuno di noi era in compagnia ed eravamo quindi in otto, a tavola. Nove, per il vero, perché c’era con noi Irene il cui viso delizioso compare qualche volta in queste pagine.

Proverò a raccontarvi della cucina di Cuttaia, come l’ho letta io e senza foto ad intercalare il testo. Lo faccio così perché voglio sottolineare che le proposte di Pino Cuttaia, benché curatissime, ed anche entusiasmanti!, nel montaggio del piatto, hanno dentro una sostanza, materiale e tecnica, che è la vera diversità di questo Chef. Non voglio correre il rischio, insomma, che vi fermiate, stupiti, di fronte ad un pomodoro con le ali, ad un nido di fili di verdura, ad un ricamo nero di pane. Così, se non apprezzerete la cucina di Cuttaia, se Gli farete l’offesa di considerarla “novelle cuisine”, la colpa sarà solo mia che con la penna non ho saputo trasmettere la sapienza del Suo lavoro. Ma alla fine, premio della compiuta lettura, le troverete.

Si comincia dal pane. Non uno, sette, otto… Ce li porta in tavola Loredana Cipriano, che condivide con lui avventura e figli; uno (l’abbiamo visto…) piccolo e bellissimo. Son pani piccolissimi, monoporzioni, bocconi direi… in ognuno si percepisce un aroma diverso, in tutti si riconosce il lievito curatissimo. Una ciotolina con un filo di Biacolella in purezza viene servita insieme e si fa zuppetta, del pane e dell’olio.

Poi ha inizio il pranzo, con tre piatti di entrata.
Una insalata mediterranea. Noi, siciliani banalotti, ci facciamo un pomodoro, un po’ di cipolla, basilico fresco, del tonno sbriciolato, sale, olio e una spruzzata d’acqua e ci intingiamo, voluttuosamente del buon pane di casa.
Cuttaia da questo parte, e trasforma. Pomodoro e cipolla, sono disidratati da una lunga cottura in forno a temperatura bassissima e sono distesi sul piatto. Sopra vi vien montata una fetta sottile di pane sulla quale viene appoggiato un dado di sgombro cotto a vapore per qualche istante, coronato da una incredibile foglia di bottarga di merluzzo (!!!). A parte viene servita l’acqua di pomodoro che, reintrodotta per aspersione sul piatto da ognuno, rivitalizza le verdure e riconduce all’antico gesto di aggiungere una spruzzata d’acqua all’insalata per aver sughetto dove pucciare il pane.
Siccome per chi, come noi, la cucina degli altri è anche stimolo alla discussione, non per riprodurne gli effetti ma solo per cercare di crescere capendo quello che si ha davanti, è in corso tra sica ed il sottoscritto una diatriba sul come Cuttaia giunga al risultato. Centrifugazione, si… ma poi c’è decantazione? E se si, di quante ore? O ci arriva solo col filtraggio?

Come ha detto Carlo in altra occasione, da Cuttaia il vino scompare di fronte alla Sua cucina. Non ne parlerò, quindi; anche se tutti quelli scelti erano degnissimi.

La seconda entrata è in realtà composta da due proposte. La prima è una sfoglia sottilissima di farina di ceci, avvolta a mo’ di cono e riempita con baccalà mantecato. Non stoccafisso, proprio baccalà! La seconda parte è del merluzzo leggerissimamente affumicato e cotto solo da questo, cui si accompagnano verdure, disidratate e non, legate da una salsa leggera all’arancia. Qui credo che Cuttaia citi la famosa, per noi siculi, insalata di aringhe e arance. Ma con grande diversità e superiore leggerezza degli ingredienti.

La terza entrata è un carciofo, un cuore di carciofo.
E’ cotto al vapore, la delicatissima consistenza ne fa fede. Ma di alcune fogliette esterne, aperte a mo’ di stella, con una abilità da brivido, veramente! Cuttaia ne fa carciofo arrostito sulla brace. Poi lo poggia, rovesciato, su una salsa di acciughe (lievissima, non ci sono parole) e lo conclude con una noce di cappasanta che, forse, avrà subito un filo di cottura al vapore. Quando poi capovolgi il carciofo ti accorgi che le foglioline interne sono state sostituite da un ripieno fatto con carciofo e pane. Questo piatto non lo so descrivere meglio, scuserete… ma la descrizione è insufficiente, ne sono cosciente.

Abbiamo poi continuato con quelli che, di norma, vengono definiti “primi piatti”; tre, anche in questo caso.

Un arancino di riso con ragù di triglia. Mi dicono che le migliori triglie di Sicilia si peschino a Licata. Sarà vero? In ogni caso si trattava di triglia di scoglio, incomparabilmente superiore alla sua collega detta triglia bianca. Mi dicono, ancora, che di questa proposta Cuttaia abbia, nel tempo, elaborato diverse versioni. Qui non ho motivo di dubitare. Ci troviamo di fronte quindi, per la prima volta, tutti, alla versione più recente. Che arriva in tavola come una cupoletta emisferica, dorata come son dorati i nostri arancini. Non c’è traccia alcuna di frittura, però.
Questa cupoletta, che è stata oggetto di approfondita disanima sia tra noi a tavola che in successiva sessione riservata con lo Chef, nasconde al suo interno un riso cotto e aromatizzato con zafferano che, a sua volta, racchiude il ragù di triglia. Su questo piatto ci siam fatti distrarre, dalla cupoletta. Non se ne narrerà, quindi, l’equilibrio dei sapori, la piacevolezza del ripieno. Tutti appresso alla cupoletta, con Cuttaia che ci guardava discutere, un po’ sogghignando, secondo me… Lo Chef ha dichiarato di aver voluto riprodurre la panatura dell’arancino, evitando la frittura ma mantenendone croccantezza e aroma tipico. La cosa impressionante è come questa cupoletta stia su. E’ sottilissima, croccante, appunto.

Ha usato del pangrattato, certo. Ma come l’ha legata e, soprattutto, come l’ha cotta? Ci è parso di capire che abbia usato, oltre al pangrattato, amido derivante dalla separata cottura del riso, e acqua. Che ha una funzione fondamentale in cottura, attraverso un processo di evaporazione. Ci siamo ripromessi di capir meglio nelle nostre cucine. Lasceremo, però, a Lui l’onore dell’invenzione. Quindi, se casomai la vedeste comparire in futuro su queste pagine, sarà sempre “la cupoletta di Pino Cuttaia”!!

Degli spaghetti con salsa ricavata dalle interiora della seppia. Intanto, orgogliosamente e un po’ provocatoriamente, Cuttaia sottolinea che la Senatore Cappelli lui la conosce (e come non potrebbe?) ma non conosce il rappresentante di Latini. Insomma: vuol dire che la pasta, Lui, se la fa da se… Anche noi, che conosciamo la Senatore Cappelli e non il rappresentante di Latini (ma solo perché la compriamo in negozio, quando la si trova!), concordiamo sulla preferibilità, per uno che la sa fare, del farsela in proprio. Intanto, trattandosi di una pasta non essiccata, ha migliore gestibilità in cottura (sta bene al dente e non devi svenarti a cogliere l’attimo in cui la Senatore Cappelli si trasforma da ottima pasta a mappazza immangiabile) e poi vuoi mettere il sapore della pasta fresca? Genialmente sottolineata dalla crema ottenuta dalla lavorazione delle interiora di seppia, una parte dell’animale che molti considerano, ovviamente sbagliando, scarto.

A questo punto una parte della tavola cede. I “cori de pollo”, generalmente di sesso femminile, non si sentono più di proseguire… Certamente non i vostri reporter, Teresa compresa.

E Cuttaia mette in tavola il terzo primo: Ravioli pizzicati con ripieno di falsomagro, accompagnati da una fettina dello stesso falsomagro, in delicata anticipazione di quello che sarà il prosieguo del pranzo, poi dedicato solo alla carne. Il raviolo pizzicato è una citazione della formazione piemontese di questo Chef (i ravioli al plin…) ma sono ricondotti con sicurezza alla tradizione meridionale della carne. Che cosa c’è, infatti, di più tradizionale, in Sicilia, del falsomagro? Che è cotto in bianco e poi utilizzato per il ripieno della pasta all’uovo.

E della sua formazione piemontese Cuttaia da ampia testimonianza nei due piatti che seguono. I cui sapori sono semplici, nettissimi, pulitissimi.

Il primo è un filetto di vitello. Rosa, cottura brevissima. Racchiuso tra due tavolette di patata, inimmaginabili. E “lisciato” con il suo cavallo di battaglia, l’Olio di Cenere. Qui si comincia ad andare sul difficile. Non si capisce come faccia questo Olio di Cenere. Cuttaia, simpaticamente, dice che se non c’avesse l’Olio di Cenere chi verrebbe mai a Licata? E non ne da la ricetta, manco a morire. E’ forse l’unico vezzo di questo ragazzo che è destinato a diventare un grandissimo (se già non lo è, naturalmente!). Ma come dargli torto? E così continueremo ad andare a Licata e a scervellarci su come ottiene questo sapore di cottura alla brace che “liscia”, come dice lui, una carne già splendida di suo e difficilmente reperibile in questa terra dove il bue, per tradizione, serve al lavoro e lo si mangia solo quando non ce la fa più a tirar l’aratro. (Chiaro che sto parlando della tradizione millenaria della terra di Sicilia; oggi le macchine per arare le abbiamo pure qui!).
Il secondo piatto di carne è un brasato. Tradizionalissimo, classicissimo del Piemonte. Solo che lui lo fa con un taglio che in Piemonte non usano: la punta di petto. Taglio del quarto anteriore bovino, tradizionalmente relegato a comporre il carrello dei bolliti. Qui, nel montaggio del piatto, c’è una patata cotta, poco, al vapore, tagliata a fette sottilissime e ricomposta in cubo sul quale viene poggiato il famoso pomodoro con le ali che ho citato all’inizio di questo ormai, me ne rendo conto, interminabile messaggio. Ma sto per finire.
Manca solo il dessert. Che è una aragosta ripiena di ricotta, accompagnata da una quenelle di gelato all’arancia. Inutile dire che è tutta robba di Cuttaia. Che sa fare la sfogliatella napoletana e che permette, alla campana presente, di strigliare il sottoscritto ed il “signor Carlo” (così deferentemente chiamato dal cameriere…) a proposito delle differenze tra sfogliatella ed aragosta.

Caffè e piccola pasticceria impegnano le nostre ultime risorse.

Per gli astemi preciso che abbiamo bevuto otto bottiglie. Precisamente:
Gewurztraminer dell'Alto Adige 2005, Manfred Nossing
Inzolia bianco Alykas 2003, Barone La Lumia
Nero di Serramarrocco (Nero d'Avola) 2003, Serramarrocco

Abbiamo pagato, ben volentieri, 90 euro a cranio, vini e ammazzacaffé vari compresi.

E questo è tutto. Che rimanga nel mio come nel vostro ricordo.

Le foto
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Messaggioda tuCoque » 31/12/2006, 14:20

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Re: Una Storia al contrario: La Madia, Licata (AG)

Messaggioda ciccioformaggio » 31/12/2006, 17:03

Gic ha scritto:Manca solo il dessert. Che è una aragosta ripiena di ricotta, accompagnata da una quenelle di gelato all’arancia. Inutile dire che è tutta robba di Cuttaia. Che sa fare la sfogliatella napoletana e che permette, alla campana presente, di strigliare il sottoscritto ed il “signor Carlo” (così deferentemente chiamato dal cameriere…) a proposito delle differenze tra sfogliatella ed aragosta.

Non "aragosta" ma "coda di aragosta" mignon. Verso gli anni settanta li chiamavamo apollini (in onore dello sbarco sulla luna), poi da qualche parte qualcuno gli ha cambiato il nome ed ha preso piede "l'aragosta", ma nel salernitano si chiamano ancora apollini. Trattasi di un tappo di sfogliata farcito con della pasta choux, in cottura la pasta choux sviluppa e spinge il tappo che si gonfia e si allunga, alla fantasia del pasticciere la farcitura. zucchero a velo e un filo di glassa al cioccolato fondente per decoro.
detto questo la mia invidia, dunque vediamo un po', il cenone della vigilia, il pranzo di natale, il pranzo di s.stefano, la cena del 27, il 28 da cuttaia e il 29 da sica, che dire? Se lavorate come mangiate siete piu' cinesi dei cinesi. 8)
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Messaggioda salutistagolosa » 01/01/2007, 22:34

Cuttaia l'avevo segnato quando ce l'ha raccontato sica, adesso e' indelebile: ma perche' un aeroporto ad agrigento non c'e' :-?
ora che ci penso, pero', a Catania si' che c'e' ;-)
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Messaggioda sica » 01/01/2007, 22:43

salutistagolosa ha scritto:Cuttaia l'avevo segnato quando ce l'ha raccontato sica, adesso e' indelebile: ma perche' un aeroporto ad agrigento non c'e' :-?
ora che ci penso, pero', a Catania si' che c'e' ;-)


Quando arrivi? :grin:

Per questo genere di sacrifici siamo sempre disponibili! :eek:
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Messaggioda salutistagolosa » 01/01/2007, 22:45

vedrai che quando meno ve lo aspettate mi presento armata di stilton e stomaco vuoto da barattare ... 8-)
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Messaggioda gianna » 03/01/2007, 19:01

Un arancino di riso con ragù di triglia.
Questa ricetta di Pino Cuttaia c'è l'ho su un "cucina e vini" dell'anno scorso. E' una tra le tante ricette che vorrei provare(non ne ho avuto ancora modo), infatti me ne sono ricordata subito. Vi trascrivo la ricetta
Arancina di riso con ragù di triglie e finocchietto selvatico
Ingredienti per 4 Persone:
g500 di riso
Un litro di acqua
Mezza cipolla
2 bustine di zafferano
g20di mollica di pane raffermo
Olio extravergine di oliva
Strutto per gli stampini
Pepe nero

Per il ragù di triglie:
g500di triglie diliscate
Mezza cipolla
g50 di finocchietto selvatico
g30 di pinoli
g30 di uvetta
Una bustina di zafferano
Olio extravergine di oliva
Sale, pepe di mulinello

Per il sugo di finocchietto:
g400 di pomodori ramati
Mezzo cucchiaio di pesto di finocchietto
Olio extravergine di oliva
sale

Affettare sottilmente la cipolla e soffriggerla in un ampio tegame con un filo di olio e lo zafferano sciolto in mezza tazza di acqua.Lasciare appassire per qualche minuto quindi versarvi il riso e portarlo a cottura con un litro di acqua mescolando fino a quando questa non si sarà del tutto asciugata.A fine cottura aggiustare il sapore, allargare poi il riso su una placca e lasciarlo freddare.Per il ragù scaldare un poco di olio in un tegame basso e dorarvi la cipolla tritata finissima unire l'uvetta ammollata, i pinoli, il finocchetto tritato e lo zafferano fatto sciogliere in poca acqua; lasciare rosolare per pochissimo prima di aggiungere le triglie tagliate a pezzi e completarne la cottura, in ultimo aggiustare di sale e pepe. Ungere quattro stampini con lo strutto, spolverizzare l'interno con la mollica di pane raffermo grattugiata, colmare con il riso e scavare una cavità al centro e riempirla con ragù di triglie. Coprire la parte superiore con il riso rimasto e far gratinare in forno a 200°C per circa dieci minuti. Nel frattempo sbollentare i pomodori in acqua bollente, privarli della buccia, dei semi e tagliare la polpa a cubetti, poi farla insaporire con poco olio continuando la cottura per una decina di minuti, aggiustare di sale. Frullare con il frullatore ad immersione ed aggiungere il pesto di finocchietto. Con il sugo ottenuto velare i piatti e al centro di ognuno sformare un'arancina parzialmente aperta.

Questa sarà una versione base. Voi che avete assaggiato potete provare e magari avvicinarvi al piatto originale. Dal canto mio appena la farò vi farò sapere.
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Messaggioda sica » 03/01/2007, 20:16

gianna ha scritto:Questa sarà una versione base. Voi che avete assaggiato potete provare e magari avvicinarvi al piatto originale. Dal canto mio appena la farò vi farò sapere.


Questa è la prima versione del suo arancino al ragu' di triglia. E ti dirò che non è completa. Perchè dalla cima del suo arancino, spuntava una coda di triglia diliscata.
Quella mangiata la settimana scorsa è una evoluzione di quella da te riportata. :D
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Messaggioda tavernadei7peccati » 03/01/2007, 20:29

e il cono di farina di ceci com'è fatto?
tipo panella? fritto o al forno? e il baccalà?mantecato con olio e aglio, o c'è del latte?
scusate, ma dev'essere buonissimo!
...... anita...............................
te ne stai seduta sulla punta ricurva della luna, in quieta meditazione... hai tutto il tempo...
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Messaggioda sica » 03/01/2007, 20:32

tavernadei7peccati ha scritto:e il cono di farina di ceci com'è fatto?
tipo panella? fritto o al forno? e il baccalà?mantecato con olio e aglio, o c'è del latte?
scusate, ma dev'essere buonissimo!

La cornucopia di farina di ceci deve essere cotta in forno. Il baccala' dovrebbe essere cotto nel latte e poi lavorato con olio e aglio. Gic, confermi?
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Messaggioda Gic » 03/01/2007, 20:38

sica ha scritto:La cornucopia di farina di ceci deve essere cotta in forno. Il baccala' dovrebbe essere cotto nel latte e poi lavorato con olio e aglio. Gic, confermi?

Confermo, Maestro, che in quanto a baccalà mantecato sei sui livelli di Cuttaia... per la cornucopia devo sottolineare che mi ha stupito molto l'abilità di Cuttaia a far cose sottilissime e croccantissime.
:D
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Messaggioda sica » 03/01/2007, 21:40

Gic ha scritto: per la cornucopia devo sottolineare che mi ha stupito molto l'abilità di Cuttaia a far cose sottilissime e croccantissime.
:D

Secondo me la stende tra due fogli di carta da forno. Poi toglie il superiore, ricava dei tondi che con l'aiuto della stessa carta avvolge attorno alle cornucopie. Dopodicchè inforna.
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Messaggioda TeresaDeMasi » 03/01/2007, 21:58

sica ha scritto:
Gic ha scritto: per la cornucopia devo sottolineare che mi ha stupito molto l'abilità di Cuttaia a far cose sottilissime e croccantissime.
:D


Secondo me la stende tra due fogli di carta da forno. Poi toglie il superiore, ricava dei tondi che con l'aiuto della stessa carta avvolge attorno alle cornucopie. Dopodicchè inforna.


Posso, Maestro, osare offrirLe il mio umile ma onesto contributo consistente nel sottolinearLe che la cornucopia non e' a base tonda ma bensi' quadra? :grin:

/troppi cannoli siculi, secondo me... 8-)
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Messaggioda maruzzella » 03/01/2007, 22:04

Gic ha scritto: per la cornucopia devo sottolineare che mi ha stupito molto l'abilità di Cuttaia a far cose sottilissime e croccantissime.
:D


potrebbe usare la tecnica dei sambusi somali in cui le sfoglie vengono tirate col mattarello fino a 4-5 insieme una volta oleate abbondantemente e poi vengono poste un po' sul tegame bollente così si separano facilmente e soprattutto quelle centrali risultano particolarmente sottili.
io invece faccio dei fogli croccantissimi ma sottilissimi che in tal caso dovrebbero essere reidratati per poter essere maneggiati e non mi sembra il caso dei coni, visto che le mie sono quasi trasparenti mentre quelli mi sembrano più consistenti.
maruzzella
 

Messaggioda sica » 03/01/2007, 22:26

Teresa/gennarino ha scritto:Posso, Maestro, osare offrirLe il mio umile ma onesto contributo consistente nel sottolinearLe che la cornucopia non e' a base tonda ma bensi' quadra? :grin:

/troppi cannoli siculi, secondo me... 8-)


io maestro Tu GrandeCapa augh!! :lol:
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