Re: Non è Pasqua senza...
Inviato: 28/03/2010, 15:05
Ora come ora, la Pastiera è una delle ricette che più simboleggia la Pasqua per il popolo lucano, sicuramente “prestito culinario” derivante dalla forte influenza che la Campania da sempre ha esercitato sulla Basilicata, almeno per ciò che concerne il potentino. Suppongo che questa mescolanza sia avvenuta agli inizi del XX Secolo, (sarei felicissima se qualcuno potesse darmi notizie in merito) non ne trovo, infatti, testimonianza nei testi che parlano delle antiche tradizioni pasquali lucane:
“(…) Per la Pasqua, in ogni casa, anche se meschina, si fascia lu fume (si faceva il fumo) cioè si puliva la cimminiera (il camino), davasi una mano di calce, o di bianchetto alle pareti, si toglievano fuliggini e ragnatele, strofinando sia lustro le stoviglie di rame, si cagnavano li diett (si cambiavano i letti): insomma si ripuliva la casa, perché si aspettava la benedizione di rito. E poi Pasqua valeva la risurrezione, ed un po’ di ripulitura non faceva male una volta l’anno!
Guai se il prete avesse tralasciato di benedire qualche casa! Si faceva strepito e vocio, considerandosi come segno di mal’aurio (mal’ augurio) la dimenticanza. Si davano uova per gratitudine della benedizione, o qualche monetuzza di rame; perciò il prete conduceva seco un ragazzo col paniere, ed uno col secchiello dell’acquasanta.
Se la padrona di casa era costretta ad allontanarsi per faccende, lasciava la casa aperta e le uova sul letto; sicchè il prete entrava, benediceva e prendeva le uova…”
Per il pranzo della Pasqua …si dava inizio con le uova dilissar (sode o scaldate), forse per antichissima usanza Romana; poi minestra di cicorie; carne lessa; la sagna (sfoglia di pasta di casa fatta con farina e uova); stracotto di agnello; casc’ e uove (cacio e uova) con spezzatino di agnello o capretto e funicchielli(finocchielli); arrosto di agnello o capretto o qualche altro boccone di cose caserecce. Il vino doveva essere il migliore e il pranzo continuava con i biscotti; “scrascedda” e “ruccule chiene d’casc’ uova, ricotta e "savucicchie" ; queste ultime leccornie casarecce, servivano anche per l’indomani, lunedì di Pasqua, quando si andava alla festa della Madonna di Betlemme.
Per tutta la settimana era scialo di uova, frittata, biscotti e scrascedda, residui della Pasqua, riprendendo man mano il normale regime di vita e di cibi.
Le feste pasquali terminavano completamente con l’Ascensione, giorno in cui si mangiavano i tagliolini cotti col latte e conditi con lo zucchero, prezzemolo e cannella (…)
Da R. Riviello , Ricordi e note su costumanze, vita e pregiudizi del popolo potentino. Potenza 1893.
E ancora:
[…] La felicità esplodeva la mattina del Sabato Santo con la benedizione in chiesa di tutti gli altari, della fonte battesimale e del fuoco sacro acceso dai fedeli nella piazza centrale del paese. In quel momento, mentre le campane suonavano a festa, quelli che si trovavano nei campi dovevano toccare il tronco degli alberi con un arnese di lavoro, preferibilmente la zappa; ciò significava preparare le piante a una copiosa fruttificazione.
Nelle aziende più grandi, il padrone offriva ai lavoranti una colazione a base di frittata con asparagi e, dopo aver mangiato, gli stessi lavoranti dovevano baciare il piede al padrone.
Anche nelle case la frittata con asparagi era il piatto da gustare e subito dopo si baciavano le mani ai genitori, agli zii, e alle persone anziane, nella speranza che questi sganciassero qualche soldo per il baciamano.
Arrivava nelle case il prete per la benedizione, seguito da una persona col secchiello dell’acqua benedetta e il paniere per le uova che le brave massaie offrivano al loro benedicente.
Ma le massaie avevano anche ben altro da fare per solennizzare la Resurrezione: dovevano preparare il forno.
Allora in tutte le case la Pasqua veniva festeggiata con alcuni prodotti cotti al forno e non con le fritture come a Natale.
Questo significava preparare e cuocere al forno vari prodotti tradizionali: biscotti all’acqua e all’uovo; gli appetitosi “cauzoni” ripieni ci ricotta, salsiccia o soppressata, e infine i famosi “Piccillati”. Un prodotto, questo, il più problematico della sfornata pasquale, perché l’usanza stabiliva che ogni componente della famiglia doveva avere il suo. Al padre, però, spettava il piccillato con tante uova quanti erano i componenti della famiglia, alla madre quello con un uovo in meno e così scalando ad un solo uovo per l’ultimo nato. Il piccillato era a forma di ciambella e le uova venivano collocate tutt’intorno. […]
Frammento tratto da “La Pasqua di una volta” ne “ La piazza”, aprile 93 riportato in “ Il piatto lucano sulla tavola e nella storia” di Allegretti-Schirone.
Fra le ricette nominate, il “ruccul e ruccul chieno” è già presente su Gennarino, il tempo di trovare le foto e lo sposto qui.
Del “piccilatiedd” e dell’ “Agnello cacio e uova” vi parlerò presto.
“(…) Per la Pasqua, in ogni casa, anche se meschina, si fascia lu fume (si faceva il fumo) cioè si puliva la cimminiera (il camino), davasi una mano di calce, o di bianchetto alle pareti, si toglievano fuliggini e ragnatele, strofinando sia lustro le stoviglie di rame, si cagnavano li diett (si cambiavano i letti): insomma si ripuliva la casa, perché si aspettava la benedizione di rito. E poi Pasqua valeva la risurrezione, ed un po’ di ripulitura non faceva male una volta l’anno!
Guai se il prete avesse tralasciato di benedire qualche casa! Si faceva strepito e vocio, considerandosi come segno di mal’aurio (mal’ augurio) la dimenticanza. Si davano uova per gratitudine della benedizione, o qualche monetuzza di rame; perciò il prete conduceva seco un ragazzo col paniere, ed uno col secchiello dell’acquasanta.
Se la padrona di casa era costretta ad allontanarsi per faccende, lasciava la casa aperta e le uova sul letto; sicchè il prete entrava, benediceva e prendeva le uova…”
Per il pranzo della Pasqua …si dava inizio con le uova dilissar (sode o scaldate), forse per antichissima usanza Romana; poi minestra di cicorie; carne lessa; la sagna (sfoglia di pasta di casa fatta con farina e uova); stracotto di agnello; casc’ e uove (cacio e uova) con spezzatino di agnello o capretto e funicchielli(finocchielli); arrosto di agnello o capretto o qualche altro boccone di cose caserecce. Il vino doveva essere il migliore e il pranzo continuava con i biscotti; “scrascedda” e “ruccule chiene d’casc’ uova, ricotta e "savucicchie" ; queste ultime leccornie casarecce, servivano anche per l’indomani, lunedì di Pasqua, quando si andava alla festa della Madonna di Betlemme.
Per tutta la settimana era scialo di uova, frittata, biscotti e scrascedda, residui della Pasqua, riprendendo man mano il normale regime di vita e di cibi.
Le feste pasquali terminavano completamente con l’Ascensione, giorno in cui si mangiavano i tagliolini cotti col latte e conditi con lo zucchero, prezzemolo e cannella (…)
Da R. Riviello , Ricordi e note su costumanze, vita e pregiudizi del popolo potentino. Potenza 1893.
E ancora:
[…] La felicità esplodeva la mattina del Sabato Santo con la benedizione in chiesa di tutti gli altari, della fonte battesimale e del fuoco sacro acceso dai fedeli nella piazza centrale del paese. In quel momento, mentre le campane suonavano a festa, quelli che si trovavano nei campi dovevano toccare il tronco degli alberi con un arnese di lavoro, preferibilmente la zappa; ciò significava preparare le piante a una copiosa fruttificazione.
Nelle aziende più grandi, il padrone offriva ai lavoranti una colazione a base di frittata con asparagi e, dopo aver mangiato, gli stessi lavoranti dovevano baciare il piede al padrone.
Anche nelle case la frittata con asparagi era il piatto da gustare e subito dopo si baciavano le mani ai genitori, agli zii, e alle persone anziane, nella speranza che questi sganciassero qualche soldo per il baciamano.
Arrivava nelle case il prete per la benedizione, seguito da una persona col secchiello dell’acqua benedetta e il paniere per le uova che le brave massaie offrivano al loro benedicente.
Ma le massaie avevano anche ben altro da fare per solennizzare la Resurrezione: dovevano preparare il forno.
Allora in tutte le case la Pasqua veniva festeggiata con alcuni prodotti cotti al forno e non con le fritture come a Natale.
Questo significava preparare e cuocere al forno vari prodotti tradizionali: biscotti all’acqua e all’uovo; gli appetitosi “cauzoni” ripieni ci ricotta, salsiccia o soppressata, e infine i famosi “Piccillati”. Un prodotto, questo, il più problematico della sfornata pasquale, perché l’usanza stabiliva che ogni componente della famiglia doveva avere il suo. Al padre, però, spettava il piccillato con tante uova quanti erano i componenti della famiglia, alla madre quello con un uovo in meno e così scalando ad un solo uovo per l’ultimo nato. Il piccillato era a forma di ciambella e le uova venivano collocate tutt’intorno. […]
Frammento tratto da “La Pasqua di una volta” ne “ La piazza”, aprile 93 riportato in “ Il piatto lucano sulla tavola e nella storia” di Allegretti-Schirone.
Fra le ricette nominate, il “ruccul e ruccul chieno” è già presente su Gennarino, il tempo di trovare le foto e lo sposto qui.
Del “piccilatiedd” e dell’ “Agnello cacio e uova” vi parlerò presto.